INSIDE ART: Di chi sono gli occhi che guardano?

Recensione di Chiara Pace

È arrivata a Roma, nello spazio Fondamenta di Inside Art, la mostra Di chi sono gli occhi che guardano? dell’artista siciliana Emanuela Ravidà, in arte RE. Curata da Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, l’esposizione, visitabile fino al 28 settembre, è allestita in perfetta armonia con lo spazio. Sembra un paesaggio lunare, apparentemente silenzioso, che comunica la passione, la creatività e l’ingegno che RE applica sulle sue opere. 35 lavori che occupano le pareti dello spazio e per ognuno di essi l’autrice ha una storia da raccontare: i colori dei fiori utilizzati che cambiano giorno dopo giorno, i lunghi tempi di attesa per vedere le sue opere finalmente realizzate, le immagini che, da sogni nella sua mente, finiscono per materializzarsi nell’opera stessa.

Ad esempio nei suoi Reverse, in cui, proprio come annuncia il titolo della mostra, chi avvicina lo sguardo si trova in realtà già dentro l’opera, che è al contrario, e la vista si perde in un’esplosione di materiali, colori, forme, paesaggi. Un insieme di sostanze che, ci confessa la stessa RE, non legano tra loro, non avrebbero alcun contatto in natura se non nelle opere che ci troviamo di fronte. E le reazioni che si scatenano danno vita a elementi nuovi, inaspettati, indefiniti. Anche l’opacità e la scarsa nitidezza di alcune trame sono volute: il tempo, lo spazio devono scomparire e gli occhi devono sforzarsi per apprezzare lo spettacolo a modo loro, senza costrizioni.
Una vecchia tela e una rete arrugginita sovrapposta sono arrivate qui dopo essere state lasciate per un anno in balìa delle intemperie: quello che vediamo non rappresenta la natura ma è la natura e ce lo dimostra la pianta di edera che da sola si è infiltrata nella maglia della rete e ora è parte integrante dell’insieme. Uno strano oblò in legno, dono di un rigattiere, racchiude un potpourri di petali, terra, vernice, colla che si fondono e galleggiano nel loro mondo sottovuoto, il loro über al di sopra del momento e dei confini che la mente può imporre.

Proprio alcuni titoli in tedesco ci ricordano che nelle vene di RE scorre anche sangue germanico e se nella forma si riconosce l’austerità tipica dei paesi del nord, nella sostanza ritroviamo tutto il calore del sud: una sorprendente fantasia che ci porta fin sulle nuvole, per osservare il panorama da lassù, ma anche un elegante groviglio di rovi maledetti che nell’intrigo di foglie, spine e vernice nascondono luci e ombre e travolgono l’atmosfera con la loro viva immobilità.
La scena però è nettamente dominata dall’ultima creazione di RE che pende dai soffitti chiari della sala centrale: ispirandosi all’antica tradizione degli arazzi, l’artista ne ha realizzato una sua originale versione. Un tappeto floreale nascosto in un mare di colla vinilica che cade dal cielo e silenziosamente catalizza l’attenzione di tutti. Tra gli infiniti petali e pezzi di bijoux nascosti nella trama l’occhio si perde fino a sbucare nei pochi punti lasciati volutamente aperti per riflettersi nello specchio sulla parete opposta: di chi sono ora gli occhi che guardano?