Lalleru: Re – Di chi sono gli occhi che guardano?

di Mosè Previti

Milazzo, contrada Paradiso, un giorno della scorsa estate, al tramonto. Le otto e circa, due colpi di clacson e con fatica riesco a centrare il vialetto della casa. La villetta vista golfo è un grazioso edificio modernista, gemello di un altro che spicca per la sua architettura nel paesaggio vetero razionalista dell’area. Scendo dall’auto, ad accogliermi ci sono RE e Giuseppe Morgana. Mi salutano con il solito affetto ed entriamo in casa.  L’ambiente del grande soggiorno è ingombro di opere. I lavori di RE sono dappertutto: in piedi accanto al camino, sul tavolo tondo, sulla poltrona, sulla sciccosa postazione dell’angolo bar. RE e le sue opere sono in fermento. Stanno per partire alla volta di Roma, per la prima personale capitolina dell’artista siculo tedesca.  Sediamo al tavolo della veranda, un bicchiere di vino e occhi allo spettacolo del cielo tirrenico spumeggiante di nuvole gassose striate di viola e verdi metallici. Un grillo salta fuori da una giovane palma rigogliosa, si poggia sul bracciolo della sedia e poi sparisce. RE anche. RE sparisce facilmente durante le cene a casa sua. O prepara qualcosa, o sta pensando a qualcosa. Non l’ho capito molto bene e mi piace questa sua vocazione alla smaterializzazione. Penso sia qualcosa che riguarda la sua arte, un vizio, o un’inclinazione alla dissolvenza che i suoi lavori testimoniano egregiamente. D’altra parte, nel giardino della sua villetta capita spesso di imbattersi in opere d’arte che l’artista lascia volutamente impressionare dagli agenti atmosferici. Nel folto dell’erba alta crescono le cose, la vita si nasconde e si manifesta in un ciclo ininterrotto di esperienze. L’artista, forse, sparisce per stare lì dentro e vedere da vicino, pilotare maternamente questo processo. I suoi lavori sono le ecografie di questa cova, il durante fecondo in cui le cose esistono, crescono, si modificano. È un tempo basso, infrasonoro, un tempo in cui si possono manifestare ombre, figure che non dovrebbero esistere, presenze di un tempo passato che l’artista custodisce personalmente con la strenua volontà di rinnovarne la meraviglia misteriosa. Lo svelamento di questa meraviglia, forse, sono le sue finestre.  Questi meccanismi pittorici nell’invito al superamento custodiscono un invito ad andare oltre, a superare il panorama per entrare nell’esperienza impalpabile della vita biologica e dei suoi segreti. La Natura, dea ctonia invisibile e ubiqua, abita queste opere. Le finestre cedono a questa potenza. Possono solo rimanere come gioco ipnotico, come sfida allo spettatore che non capendo finirà per amarle incondizionatamente.

Ho scritto che RE è un’artista sicula tedesca non solo perché RE ha una madre tedesca e una famiglia dalla lunga storia imparentata con la Germania, ma soprattutto perché RE incarna una versione del Romanticismo che suona particolarmente inusuale per il mood incontenibilmente mediterraneo e classicista a cui ci hanno abitato i pittori dell’Isola. Del Romanticismo ha la spinta spontanea al superamento, la fascinazione per l’energia indomabile della natura e il senso del sacro che essa custodisce, romantica è la sua tendenza istintiva a una visione umanissima e solidale e, al contempo, profondamente individuale delle cose del mondo. Forse per questo a un tratto poi sparisce, ha bisogno di quell’inquieta solitudine che è la premessa di ogni degna creazione.

La sua mostra romana s’intitolava “Di chi sono gli occhi che guardano?”. A quanto mi dicono, è stata un successo. D’altra parte, i suoi lavori sono di un’intensità emotiva che non ha bisogno di spiegazioni, piuttosto di occhi. E sono convinto che RE, a Roma come altrove, troverà sempre più occhi desiderosi di essere interrogati dalle sue opere.

 

 

 

INSIDE ART: Di chi sono gli occhi che guardano?

Recensione di Chiara Pace

È arrivata a Roma, nello spazio Fondamenta di Inside Art, la mostra Di chi sono gli occhi che guardano? dell’artista siciliana Emanuela Ravidà, in arte RE. Curata da Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, l’esposizione, visitabile fino al 28 settembre, è allestita in perfetta armonia con lo spazio. Sembra un paesaggio lunare, apparentemente silenzioso, che comunica la passione, la creatività e l’ingegno che RE applica sulle sue opere. 35 lavori che occupano le pareti dello spazio e per ognuno di essi l’autrice ha una storia da raccontare: i colori dei fiori utilizzati che cambiano giorno dopo giorno, i lunghi tempi di attesa per vedere le sue opere finalmente realizzate, le immagini che, da sogni nella sua mente, finiscono per materializzarsi nell’opera stessa.

Ad esempio nei suoi Reverse, in cui, proprio come annuncia il titolo della mostra, chi avvicina lo sguardo si trova in realtà già dentro l’opera, che è al contrario, e la vista si perde in un’esplosione di materiali, colori, forme, paesaggi. Un insieme di sostanze che, ci confessa la stessa RE, non legano tra loro, non avrebbero alcun contatto in natura se non nelle opere che ci troviamo di fronte. E le reazioni che si scatenano danno vita a elementi nuovi, inaspettati, indefiniti. Anche l’opacità e la scarsa nitidezza di alcune trame sono volute: il tempo, lo spazio devono scomparire e gli occhi devono sforzarsi per apprezzare lo spettacolo a modo loro, senza costrizioni.
Una vecchia tela e una rete arrugginita sovrapposta sono arrivate qui dopo essere state lasciate per un anno in balìa delle intemperie: quello che vediamo non rappresenta la natura ma è la natura e ce lo dimostra la pianta di edera che da sola si è infiltrata nella maglia della rete e ora è parte integrante dell’insieme. Uno strano oblò in legno, dono di un rigattiere, racchiude un potpourri di petali, terra, vernice, colla che si fondono e galleggiano nel loro mondo sottovuoto, il loro über al di sopra del momento e dei confini che la mente può imporre.

Proprio alcuni titoli in tedesco ci ricordano che nelle vene di RE scorre anche sangue germanico e se nella forma si riconosce l’austerità tipica dei paesi del nord, nella sostanza ritroviamo tutto il calore del sud: una sorprendente fantasia che ci porta fin sulle nuvole, per osservare il panorama da lassù, ma anche un elegante groviglio di rovi maledetti che nell’intrigo di foglie, spine e vernice nascondono luci e ombre e travolgono l’atmosfera con la loro viva immobilità.
La scena però è nettamente dominata dall’ultima creazione di RE che pende dai soffitti chiari della sala centrale: ispirandosi all’antica tradizione degli arazzi, l’artista ne ha realizzato una sua originale versione. Un tappeto floreale nascosto in un mare di colla vinilica che cade dal cielo e silenziosamente catalizza l’attenzione di tutti. Tra gli infiniti petali e pezzi di bijoux nascosti nella trama l’occhio si perde fino a sbucare nei pochi punti lasciati volutamente aperti per riflettersi nello specchio sulla parete opposta: di chi sono ora gli occhi che guardano?