Esperimento di Libertà Temporale

 

Esperimento di Libertà Temporale

Milazzo, 20/03/2020

Questo è il periodo in cui tempo e spazio non possono più giocare per creare la velocità e quindi il movimento. Le condizioni di pericolo per la nostra salute ci obbligano a non considerare più lo spazio come un luogo di libero arbitrio di movimento. Posso dire che quasi tutto il mondo in questo momento si trovi recluso. Siamo obbligati a cedere i nostri spazi al nulla e usufruire solo di quello stretto e indispensabile. Usciamo il meno possibile, solo per necessità primarie come la spesa e per far cacare i cani.

Quando questo ordine è stato trasmesso nelle televisioni italiane non ho avuto chissà quale timore per la mia libertà, soprattutto perché quello che è stato ordinato alla popolazione io lo facevo già da tempo. Uscivo solo per necessità, in realtà nemmeno per quello perché la persona con cui vivo si occupava anche di questo. Questa mia condizione, che amo chiamare esilio, è nata dalla mia esigenza di dovermi staccare da ciò che mi circonda per comprendere meglio il mio motivo di non sentirmi appartenente. Ho preso queste decisione anche per conoscermi, per scavare dentro di me. Nel tempo vissuto in esilio ho avuto modo di apprendere in merito ai miei difetti, i miei pregi e le potenzialità che non credevo di possedere.
Tornando all’ordine trasmesso a tutti gli italiani, come dicevo, non ho dato molto peso perché mi sentivo già preparata, agevolata. Tuttavia, dopo qualche giorno, mi sono resa conto di non riuscire a fare più nulla e ho iniziato a passare il tempo seduta in poltrona fissando il soffitto. Mi sono chiesta il perché e mi sono risposta con il primo plausibile pensiero, ovvero quello di essere preoccupata per qualcosa che potesse sfociare in una tragedia mondiale coinvolgendo amici e parenti che fuori dall’Italia vedevano tutto ciò banale, ridicolo; con la conseguenza di trovarsi meno preparati di noi (italiani). Ma non era questa la risposta a questa mia impotenza. Semplicemente perché, imparando a conoscermi, tutte le volte che mi trovo nel bel mezzo di una tragedia personale e non, tendo a minimizzare o addirittura distolgo lo sguardo cercando di non farmi avvolgere dalla negatività soprattutto per non crearne ulteriore. Credo profondamente che l’energia che muove tutto sia basata anche dall’umore e dalla valenza del pensiero. Anche in questa occasione cosi preoccupante mi sono comportata nel medesimo modo per rispettare il mio animo e l’andamento dell’universo stesso.
Dunque, la mia domanda non aveva ancora la sua risposta. Due giorni fa mi sono trovata nell’esasperazione nel tentativo di rispondere a questo mio quesito e mentre il mio cervello fondeva mi rendevo conto che quella non era altro che la conseguenza dell’esilio nell’esilio. Quell’esilio in cui vivevo prima del coronavirus era un esilio deciso da me, ero il padrone e l’artefice del mio isolamento. Ero comoda tra le mie voglie del momento come scrivere, dipingere, suonare o semplicemente pensare in uno spazio chiuso, limitando visite e contatti. Adesso invece non lo è più; adesso sono obbligata a fare tutto ciò che fino ad ora ho fatto. Come quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti, che mi annoiava l’idea di dover dipingere senza poter attendere l’ispirazione o l’esigenza creativa. Trovata questa travagliata risposta ho deciso che dovevo altrettanto trovare il modo per contrattaccare questo mi stato di isolamento imposto. Ci ho pensato per un po’ ma poi ho deciso di staccarmene per non farne una malattia. Son tornata a ricordarmi che sono ancora un’artista che non riesce a creare, così ho pensato di dover scavare ulteriormente sui miei limiti e capire cosa fosse a bloccarmi a prescindere da questo momento storico di emergenza.
Qual è il periodo della giornata in cui riesco ad essere più fluida nell’atto creativo? Senza dubbio, la notte. Dal tardo pomeriggio il mio lume comincia ad accendersi, esattamente dalle 18.00 in poi nasce in me l’esigenza di fare mille cose e soprattutto comincio a concepire, immaginando il risultato, le idee più belle. Dal momento in cui le concepisco nella mia mente al momento in cui inizio a metterle in pratica, vari fattori disturbano la mia attività creativa. I bisogni primari, ad esempio la cena e soprattutto i bisogni di chi è con me, come quello di dormire. Mi rendo conto che devo mangiare e che poi devo dormire. Ma come potrei evitare ciò? Sarebbe impossibile. Seppur lievemente alienata, sono umana anche io e come tutti ho dei bisogni che non possono essere annullati. Quando mi fisso su qualcosa, so che per ottenere risultati bisogna “sfissarsene” per poi riprendere il pensiero che nel frattempo è maturato senza che lo guardassi. Ho deciso così di tornare alla superficialità delle cose, della gente e delle occasioni che coglierà attraverso questo periodo particolare per tutti. Essendo un’artista, ho immaginato a cosa farebbe, o meglio, come agirebbe un artista per sfruttare questo periodo. Si sfrutta questo periodo per poter innalzare il proprio stendardo dell’ego artistico ma si può sfruttare il periodo per rendere all’uomo quello che principalmente è il compito dell’artista: stimolare la sensibilità.

Il compito dell’artista è quello di coinvolgere i sensi in modo diretto o indiretto. L’artista induce alla comprensione attraverso il proprio linguaggio espressivo e concettuale. Bisogna considerare questa una possibilità per ampliare il raggio di comprensione, assimilazione e con il conseguente risultato di far generare un pensiero a chi ne è spettatore. Mi riferisco, ad esempio, alle simbologie utilizzate dagli artisti che operano soprattutto nel contesto socio-politico. Fino a qualche mese fa, l’argomento utilizzato era quello degli immigrati. Allora via con la fantasia! Hanno fatto capolino opere composte da barche, gommoni, salvagenti, coperte termiche, gente di colore in mezzo al mare e morti affogati dipinti sui muri. Qual è il messaggio in queste simbologie? Cosa si può apprendere da tutto ciò? Sarò sfacciata, ma l’unica cosa che ho compreso dai gommoni di Ai Weiwei, spiaccicati alle finestre di Palazzo Strozzi a Firenze, è che l’artista usa le scorciatoie del cervello per essere compreso. Infatti, il Nostradamus che c’è in me prevede un ampio uso di mascherine da parte degli artisti per esprimere non un concetto, ma il loro tentativo di visibilità nascondendosi dietro la facilità di comprensione simbolica. In questo caso, non si esorcizza un simbolo ma lo si sfrutta. E’ facile però criticare senza agire. E’ vero. Ma cosa c’entra tutto questo con la mia storia di esiliata disadattata e confusa? Anche stavolta ho lasciato i miei pensieri in aria e li ho fatti maturare ancora un po’ e ho dato loro l’unico collegamento d’azione: il tempo.

Giochiamo una partita a scacchi con la sorte, dove le nostre mosse sono dettate da chi ci dovrebbe tutelare per non cadere nello scacco matto. Che sia esso stesso un interesse politico, economico o un impegno reale per tutelare la società di cui ne sono leader, nel dubbio si esegue. Perchè, in fondo, per sapere se ci si può fidare di qualcuno, l’unico modo è quello di fidarsi. Io mi fido perchè non conosco altre alternative.
Tornando alla prima frase: il tempo e lo spazio non potranno più giocare per un po’. Bene, lo spazio è poco e il tempo è tanto. Il caro tempo che vale denaro adesso non ha più valore. Adesso non si sa più dove metterlo e per molti sta prendendo le sembianze di un terribile antagonista. I primi giorni era facile, era come se fossimo tutti in vacanza ma col passare dei giorni muta come se fosse una dannazione. In tutto questo ci siamo dimenticati che gli artefici del tempo siamo solo noi. Non mi riferisco a come impiegarlo ma plasmarlo. Così ho trovato la soluzione a questi miei tre problemi:
-Salvarmi dall’esilio nell’esilio
-Creare senza abortire a metà strada
-Dimostrare il compito dell’artista in queste circostanze.

Così ho spostato la lancetta dell’orologio di tre ore indietro. Perchè? I motivi sono molteplici. Prima di tutto mi preme sottolineare che il numero di ore mi è stato suggerito da Morgana, la persona che vive con me, curiosa e legata ai quesiti che da sempre ci alimentano. Secondo lui questo è il fuso orario di Atlantide; un luogo che da sempre si nomina ma che non è stato ancora trovato. Seguendo i racconti di Platone, Atlantide si trova nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico. Questo è un luogo/non luogo e io ho deciso di vivere un tempo/non tempo. Spostando di tre ore indietro la lancetta dell’orologio posso usufruire prima di tutto della mia libertà temporale e ciò si riferisce al mio primo quesito ovvero l’esilio nell’esilio. Di conseguenza, ho più tempo per creare nelle ore notturne e risolvere cosi il problema dell’aborto creativo personale. Per quanto riguarda il compito dell’artista, posso dimostrare che nonostante i nostri limiti di spazio imposti, il tempo è ancora e sempre nostro. L’alba e il tramonto, per me, saranno fuori posto. Quando le cose sono fuori posto vengono notate di più e non sono più scontate. Alle 6.00 del mattino vedrete l’alba mentre io la vedrò alle 3.00 ora atlantidea. Stessa cosa vale per il tramonto e per il canto degli uccelli e così via. Togliendo tutto dall’ordine biologico potrò cogliere non solo la bellezza delle cose ma le peculiarità che per tutti noi sono passate inosservate, come la realtà delle cose. Il mio approccio a questa nuova concezione del tempo è agevolato dal fatto che non sono impegnata ad accudire i miei figli, perché non ce li ho. Non ho obblighi temporali con nessuno e con niente. Tuttavia non considero questa come una fortuna ma come una condizione da sfruttare.

Ho iniziato ieri sera, evitando il trauma del cambiamento e avvicinandomi con cautela. Siamo esseri sensibili al cambiamento e bisogna appunto essere cauti per evitare danni fisici e psichici. Dunque, sono rimasta sveglia fino alle tre e mezza di notte (ore vostre) che equivale alla mezzanotte e mezza orario atlantideo. Oggi, ho bevuto la mia prima birra del giorno alle 11.30 (orario atlantideo) perché la birra mi aiuta a far capire al corpo che ore sono. Potreste pensare che tre ore di differenza siano irrilevanti, ma a lungo andare credo che subirò delle piccole conseguenze. Ho altri fattori da considerare, come i social e l’informazione da cui devo prendere le distanze. Che sia chiaro, questa situazione mi ha colpito profondamente e ciò non vuol dire che discostandomi io possa mancare di rispetto a tutti coloro che si stanno adoperando e a chi, ahimè, ne ha subito tristi conseguenze. In ogni caso Morgana non riuscirà mai a tenermi all’oscuro dell’andazzo, è più forte di lui.

Come rappresenterò questo mio lavoro in forma artistica? La prima cosa che mi viene in mente è la performance, o meglio, una “non performance”. Tuttavia, non ho alcuna intenzione di documentarvi con video e aggiornarvi del mio soggiorno fuori dal vostro tempo. Ho dei punti di riferimento però, che sono l’alba e il tramonto. Essi sono il mio punto di congiunzione con il vostro tempo seppur in maniera sfalsata. Sui dettagli di come rappresenterò tutto questo, non credo di poterli comunicare adesso. Attenderò la fine di tutto questo come l’aspettate voi, anche questo è un elemento che unirà i nostri tempi. Sono certa che dopo la fine c’è sempre un inizio e confido in un inizio florido per tutti gli abitanti di questo splendido pianeta. Adesso scrivo tutto al computer e poi lo divulgherò, questo lo voglio fare perché probabilmente potrei far cambiare idea ad alcuni di voi. Perchè il tempo è e sarà sempre nostro.